Per spiegare agli studenti e ai ragazzi in generale cosa si intende per quarta mafia bisognerebbe prima di tutto spiegarlo alle famiglie. E alle scuole. Perché la criminalità, intesa come mentalità e non solo come organizzazione a delinquere, è un tentacolo che abbraccia tutte le componenti sociali, dalla scuola come valore culturale fino al mondo del lavoro, come valore economico. Oggi pomeriggio, presso l’auditorium della biblioteca provinciale di Foggia, Libera ha organizzato un seminario dedicato ai docenti delle scuole superiori, al mondo del volontariato e delle parrocchie, luoghi di prossimità dove è ancora possibile analizzare un fenomeno così invasivo e muoversi nelle fitte pieghe che ne costituiscono l’architettura. Abbattere questi totem in cemento armato non è “parva materia”, come sostiene Giuseppe Gatti, sostituto procurato della Dda di Bari (presente al tavolo dei relatori insieme a Sasi Spinelli di Libera Foggia e a Daniela Marcone, vice presidente nazionale di Libera). Le ruspe dell’antimafia vanno a scontrarsi contro i pilastri di un’economia sommersa che ancora oggi detiene uno dei primati del Pil italiano, con fatturati miliardari (intesi in euro) che mantengono in vita milioni di famigli sostituendosi allo Stato e al welfare: “La mafia foggiana, detta anche quarta mafia insieme alla Sacra Corona Unita, radicatasi ormai da trent’anni nel resto della Puglia (a proposito, ieri la Dda di Bari ha effettuato ben 52 arresti nel brindisino) applica lo stesso metodo di affiliazione della vecchia camorra cutoliana, che ha come punto saldo il senso di appartenenza familistica delle sue strutture criminali. E non è un caso. Negli anni ’80, pochi lo sanno, la Nuova Camorra Organizzata nacque proprio qui, nel foggiano, con una riunione che Raffaele Cutolo tenne all’hotel Florio di Lucera. Dico questo – continua il magistrato – perché ancora oggi persistono strascichi di quella fase storica, con boss locali che sono ancora a capo dei loro clan anche se reclusi al 41 bis. Qui a Foggia (intendendo anche le organizzazioni garganiche, dell’alto tavoliere e del cerignolano) fanno i soldi soprattutto con il traffico di droga e le estorsioni rappresentano solo il grimaldello con cui i clan si accreditano nella cosiddetta società civile”. Risulta persino paradossale la nuova frontiera del pizzo, come rivelato da Gatti: “Le estorsioni sono state ‘consorziate’ dalla malavita, per avere sotto controllo i libri mastro della fatturazione delle loro attività illegali. Esiste una vera e propria ‘lista di fornitori’ dentro cui sono iscritti tutti gli imprenditori che volenti o nolenti foraggiano l’economia delle famiglie. Infatti nel gergo malavitoso ‘mettersi a posto’ significa proprio regolamentare il proprio debito mensile o periodico verso i clan”. Volenti o nolenti significa, prendendo il prestito una definizione dell’ex procuratore capo di Reggio Calabria, Nicola Gratteri nel suo primo libro “la Malapianta”, che ci sono tre tipi di imprenditori: l’imprenditore affiliato ai clan, che lavora grazie ai soldi che la mafia gli concede per aprire e gestire le attività, l’imprenditore mafioso, che è lui stesso impresa e manager delle sue attività “legali” e infine l’imprenditore vittima, ormai assuefatto a questa logica di soggiogamento. “Infatti – conclude Gatti – abbiamo riscontrato, a livello sociologico, anche una sorta di dipendenza mafiosa, non solo tra chi con la mafia ci campa ma anche tra chi paga i suoi carnefici senza rendersi conto di essere vittima di un sistema che ormai governa la sua vita e lo sottomette come se fosse la dipendenza da una droga”. E anche i soldi facili che si possono fare grazie alle “amicizie” criminali sono una spirale da cui è impossibile tirarsi ormai fuori. “Per questo – come poi ribadito da Mario Dabbicco, di Libera Puglia – la nostra proposta punta a infiltrare l’idea dell’antimafia lì dove la mafia pensa di aver radicato per sempre il proprio potere”