Cavalli di ritorno. Così sono chiamate quelle estorsioni di piccolo taglio che riguardano i furti di auto e moto, con la richiesta di riscatto alla vittima per fargli riottenere la macchina. Una pratica estorsiva nata a Napoli e detta appunto “cavallo di ritorno”. Ed è così che è scattato il blitz “Reditus”, eseguito dai Carabinieri della Compagnia di San Severo sotto la direzione della Procura della Repubblica di Foggia. Sette agli arresti ai domiciliari: si tratta di Vincenzo Zizza, 54 anni, Michele Nicola De Stasio, 54 anni, Pasquale Grassi, 29 anni, Vincenzo Popolo, 39 anni, Luca Pio Conte, 33 anni, Matteo Gentile, 29 anni e Luca Popolo, 29 anni, a cui è stata destinata la misura dell’obbligo di dimora.
Le indagini erano state avviate dai militari già nel 2014 a seguito della denuncia del furto di un’autovettura commesso proprio a San Severo ai danni di un anziano. L’uomo, pochi giorni dopo, si era ripresentato dai Carabinieri ai quali aveva riferito di aver ricevuto una telefonata dal chiaro contenuto estorsivo, in cui un anonimo interlocutore gli aveva chiesto del denaro in cambio della restituzione del mezzo, minacciando non solo di incendiare il veicolo ma anche ulteriori ritorsioni qualora non avesse pagato.
Era stata quindi immediatamente avviata un’attività investigativa che si è poi sviluppata, nel corso dei mesi successivi e fino all’estate del 2015, con un’imponente mole di intercettazioni, pedinamenti e servizi di osservazione, che hanno consentito di accertare ben 14 episodi di furto con successive richieste estorsive.
La tecnica utilizzata dalla banda era ben rodata, e ognuno dei suoi componenti aveva specifici compiti. Alcuni di essi infatti si occupavano di individuare la vittima “perfetta”, preferibilmente tra donne ed anziani, per poi passare all’azione, talvolta organizzando meticolosamente il furto, altre volte, invece, semplicemente approfittando di una momentanea distrazione di chi per un momento aveva lasciato aperta la propria autovettura, infilandosi rapidamente alla guida e fuggendo.
Una volta portato a compimento il furto, subentravano gli estorsori, che contattavano la vittima, dapprima proponendosi quasi come mediatori bonari, per poi diventare via via sempre più aggressivi e minacciosi. Particolarmente attenti e organizzai, i membri del gruppo comunicavano tra loro, solo lo stretto indispensabile e in codice per eludere le investigazioni, per mezzo di utenze cellulari intestate a terze persone a loro non riconducibili.
Nel corso delle indagini gli investigatori hanno dovuto fare i conti con la paura e la reticenza di molte delle vittime, che spesso preferivano scendere a compromessi con gli estorsori, pagando e subendo le minacce e vessazioni della banda, pur di tornare in possesso della loro autovettura piuttosto che denunciare e collaborare con le forze dell’ordine. Ed è proprio questo aspetto ad emergere in maniera allarmante dalle attività investigative: gli estorsori, infatti, consigliavano alle vittime di “mettere in mezzo qualcuno”, spingendoli ad interessare direttamente i più noti pregiudicati del posto, che avrebbero senz’altro saputo a chi rivolgersi e come condurre “l’affare”.
I Carabinieri hanno così dovuto constatare quanti onesti cittadini abbiano ritenuto più vantaggioso, se non addirittura più furbesco, rivolgere la loro richiesta di “aiuto” ad appartenenti alla criminalità locale che, ben conoscendo gli autori dell’estorsione, già sapevano a chi rivolgersi.
E’ quindi chiaramente emersa la centralità della figura degli intermediari: individui evidentemente ben inseriti nel tessuto criminale cittadino, conosciuti anche dalla popolazione, e che venivano lautamente ricompensati per il loro interessamento, talvolta direttamente dagli autori dell’estorsione e in alcune circostanze anche dalle stesse vittime, che finivano così per pagare due volte i loro aguzzini. Ed è stata proprio l’omertà, e a tratti la connivenza, delle vittime che ha reso particolarmente difficoltoso l’operare degli inquirenti. In alcuni casi infatti le stesse vittime che si erano piegate al ricatto avevano negato l’evidenza di quanto subìto, raccontando ai militari di aver casualmente rinvenuto la loro autovettura. In particolare, a tal proposito, è stato addirittura avvilente il comportamento di una di queste doppie vittime che, per sviare ogni sospetto su quanto realmente accaduto, dopo aver ceduto alle richieste degli estorsori ed aver sborsato quanto da loro preteso, una volta tornato in possesso della sua autovettura l’aveva poi appositamente parcheggiata in divieto di sosta, credendo di poter così rendere più credibile il ritrovamento del tutto fortuito.
Ulteriore, inquietante dettaglio che sottolinea la pericolosità e l’indole criminale degli odierni indagati è il fatto che uno di essi, il principale attore degli episodi estorsivi, si trovava all’epoca dei fatti in regime di semi libertà: durante la giornata organizzava, gestiva e portava a termine le estorsioni per poi, la sera, far tranquillamente rientro al carcere di Foggia, dove rimaneva nelle ore notturne.
Sulla base dei numerosi elementi di prova raccolti nel corso dell’attività è quindi stata emessa la misura cautelare nei confronti degli indagati, che dovranno rispondere a vario titoli del concorso in numerosi furti aggravati, ricettazioni ed estorsioni consumate e tentate.
L’operazione, che ha coinvolto decine di Carabinieri, è stata supportata anche dall’intervento del Nucleo Elicotteri dell’Arma, che ha fornito ausilio dall’alto per la localizzazione e la cattura dei soggetti che sono stati individuati e tratti in arresto. All’appello ne manca uno, ora attivamente ricercato.